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lunedì 27 ottobre 2025

Ghosting: il silenzio che ferisce più di un rifiuto.

Ghosting: il silenzio che ferisce più di un rifiuto.

Fonte: Università Milano Bicocca


© Valentina Shilkina/iStock ()

I risultati di un recente lavoro di un team di psicologi di Milano-Bicocca ha evidenziato come la sofferenza provocata dall’assenza di comunicazione in una relazione sia più difficile da elaborare rispetto a un rifiuto diretto

comportamento

 Il ghosting – interrompere ogni forma di comunicazione con qualcuno senza fornire spiegazioni – provoca una sofferenza psicologica più duratura rispetto a un rifiuto esplicito. È quanto emerge da un recente studio condotto da Alessia Telari, Luca Pancani e Paolo Riva del dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca, pubblicato sulla rivista Computers in Human Behavior (https://doi.org/10.1016/j.chb.2025.108756).


Lo studio, intitolato “The Phantom Pain of Ghosting: Multi-day experiments comparing the reactions to ghosting and rejection”, è il primo lavoro ad osservare in tempo reale come le persone reagiscono al ghosting, dopo le ricerche basate su ricordi o immaginazione.


Il team di psicologi di Milano-Bicocca ha utilizzato un metodo sperimentale affiancato a questionari giornalieri grazie al quale è stato possibile studiare come cambiano nel tempo le reazioni psicologiche delle persone al ghosting rispetto al rifiuto esplicito, mettendo in discussione l’idea diffusa secondo la quale nelle relazioni brevi o poco profonde “sparire” sia un modo più delicato per chiudere il rapporto.


L’obiettivo non era studiare la fine di una relazione amorosa, ma le reazioni all’interruzione improvvisa e definitiva di una comunicazione interpersonale, cioè a una forma di esclusione sociale digitale. Il ghosting, infatti, viene considerato dagli autori come una forma di ostracismo - essere ignorati o esclusi - che può avvenire in qualsiasi contesto: romantico, amicale o professionale.


I partecipanti allo studio hanno preso parte a brevi conversazioni quotidiane via chat con un partner (un collaboratore dello studio) e, ogni giorno, hanno compilato un questionario sulle proprie emozioni e percezioni. A metà dell’esperimento, alcuni venivano improvvisamente ignorati — simulando un episodio di ghosting — mentre altri ricevevano un rifiuto esplicito o continuavano a dialogare normalmente.

Questo approccio, unico nel suo genere, ha consentito di monitorare l’evoluzione quotidiana del disagio emotivo e di evidenziare come il silenzio prolungato del ghosting produca effetti più duraturi rispetto a un rifiuto diretto.


«Entrambi i fenomeni suscitano risposte negative e minacciano bisogni psicologici fondamentali, ma il ghosting mantiene le persone intrappolate in uno stato di incertezza che ne ostacola la chiusura emotiva - spiega Alessia Telari, ricercatrice del dipartimento di Psicologia di Milano-Bicocca».

I risultati mostrano, dunque, che l’interruzione di una relazione è dolorosa, a prescindere dalla modalità tramite cui avviene. Tuttavia, il rifiuto esplicito genera una reazione emotiva intensa ma più immediata e breve, seguita da un progressivo recupero. Il ghosting, invece, lascia le persone in uno stato di incertezza e confusione prolungata, che ostacola l’elaborazione dell’esperienza e mantiene elevate nel tempo stati negativi come dolore e senso di esclusione. Chi viene ghostato, inoltre, tende a percepire l’altra persona come meno morale rispetto a un rifiuto diretto.

«Al contrario di quanto si pensa, i risultati evidenziano che la comunicazione conta, anche quando si decide di chiudere una relazione considerata poco importante - conclude Telari -. Capire come reagiamo al ghosting può aiutarci ad affrontare meglio le rotture digitali e promuovere interazioni più consapevoli ed empatiche anche online».

domenica 26 ottobre 2025

Scroll senza sosta quando sei triste... la ragione è spiazzante

Scrolling infinito: quando la tristezza si nasconde dietro lo schermo
Ti è mai capitato di sentirti giù e, quasi senza rendertene conto, ritrovarti con il telefono in mano a scorrere post su post? Non parliamo necessariamente di depressione — a volte è semplicemente una giornata storta, un vuoto inspiegabile, quella sensazione che qualcosa non va. E mentre alcuni si buttano nelle pulizie di casa o si rilassano sul divano, molti di noi fanno una cosa diversa: scrollano.

Scrolliamo per ore, persi tra storie Instagram, video casuali e foto di animali adorabili, come se la risposta al nostro malumore si nascondesse proprio lì, tra un contenuto e l’altro.

E non è un comportamento casuale. Il gesto dello scroll ha qualcosa di magnetico: ci assorbe completamente, facendoci perdere la cognizione del tempo. Non richiede alcuno sforzo mentale, solo il movimento automatico del pollice, mentre i pensieri pesanti sembrano allontanarsi. In questi momenti, lo smartphone diventa un rifugio sicuro, una barriera tra noi e le emozioni che non vogliamo affrontare. E più ci sentiamo vulnerabili, più ci immergiamo nel feed, convinti che saranno “solo cinque minuti”. Ma quei cinque minuti si trasformano facilmente in ore, vero?

Il meccanismo cerebrale dietro lo scrolling compulsivo
Ragazza triste guarda il cellulare nella notte
La scienza ci offre una spiegazione affascinante: quando siamo tristi, il nostro cervello va in cerca di gratificazioni immediate. I social media, con il loro flusso continuo di stimoli sempre nuovi, funzionano come una slot machine emotiva. Ogni scroll è una nuova possibilità, ogni post potrebbe essere quello che ci tira su il morale.

Ogni like, video divertente o meme provoca un rilascio di dopamina, lo stesso neurotrasmettitore che ci fa sentire bene dopo un piacere concreto o una bella notizia.
Ogni nuovo contenuto rappresenta una sorpresa potenziale: il cervello spera sempre che il prossimo post sia quello che cambierà la giornata.
Scrollare offre una fuga temporanea dalla tristezza reale, permettendoci di non confrontarci con emozioni difficili da gestire.
Gli studi neuroscientifici dimostrano che questa ricompensa variabile e imprevedibile mantiene attivo il sistema di gratificazione cerebrale, spingendoci a continuare anche quando razionalmente sappiamo che dovremmo smettere. È un meccanismo evolutivo antico, oggi perfezionato dagli algoritmi dei social network.

Il potere magnetico dei social quando l’umore è basso
Perché, quando ci sentiamo tristi, invece di chiamare un amico o uscire a fare due passi, preferiamo rimanere incollati allo schermo? La risposta risiede in alcune dinamiche psicologiche ben precise.

Quando siamo emotivamente fragili, il cervello cerca istintivamente di evitare il confronto con le emozioni intense. Scrollare è un’attività che non costa fatica: non richiede interazioni sociali, non ci obbliga ad affrontare ciò che ci fa soffrire. È una strategia per anestetizzare il dolore emotivo senza doverlo elaborare. Ecco perché:

Il feed ci permette di distrarci restando nella nostra zona di comfort, mentre le relazioni reali richiedono energia emotiva che in quei momenti non abbiamo.
I contenuti brevi e frammentati creano piccole pause mentali che spengono temporaneamente il dialogo interiore negativo.
C’è anche la paura di essere un peso per gli altri: scrollare non richiede di esporsi o chiedere aiuto, è una compagnia che non giudica.
Il pollice si muove su e giù in modo meccanico, mentre immagini e video scorrono rapidamente, trasformando i pensieri dolorosi in un sottofondo sfocato e meno minaccioso.

Quando lo scrolling da consolazione diventa dipendenza
Attenzione: non si tratta di condannare lo scrolling in sé. Ci sono momenti in cui una pausa digitale può davvero aiutarci a gestire un picco di tristezza. Il problema nasce quando questo comportamento diventa l’unica strategia per affrontare le emozioni negative.

Il vero rischio è che la tristezza rimanga inespressa, semplicemente coperta dallo schermo. E quando finalmente spegniamo il telefono, quella sensazione di vuoto può tornare amplificata. Per questo è importante fermarsi e riflettere:

Sto scrollando per una pausa rapida o per evitare completamente di sentire quello che provo?
Dopo mezz’ora sui social, mi sento realmente meglio o più vuoto di prima?
Ci sono altre attività che potrebbero darmi un benessere più duraturo?
Cadere nel loop dello scrolling non è un fallimento personale, è semplicemente umano. Ma imparare ad ascoltarsi autenticamente rimane il modo migliore per prendersi cura del proprio benessere emotivo. Nessun feed, per quanto coinvolgente, può sostituire una conversazione sincera, una camminata all’aria aperta o la musica giusta al momento giusto.

In conclusione, scrollare può essere un abbraccio digitale temporaneo, ma nessun algoritmo potrà mai replicare il calore di un contatto umano autentico. Il segreto sta nel concedersi questo conforto virtuale con consapevolezza, senza dimenticare che esistono modi più nutrienti per stare meglio davvero.

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lunedì 18 agosto 2025

Arma Cognitiva

 Un'arma cognitiva è un concetto che si riferisce a strumenti, tecniche o strategie utilizzate per influenzare, manipolare o controllare i processi mentali, le percezioni, le decisioni o i comportamenti di individui o gruppi, spesso attraverso la gestione dell'informazione. Non si tratta di armi fisiche, ma di metodi che operano sul piano psicologico, cognitivo o informativo, sfruttando la mente umana come campo di battaglia.


Caratteristiche principali:

1. **Manipolazione dell'informazione**: Le armi cognitive possono includere propaganda, disinformazione, fake news o campagne di influenza sui social media, progettate per alterare la percezione della realtà.

2. **Obiettivo psicologico**: Mirano a modificare credenze, emozioni o comportamenti, ad esempio inducendo paura, confusione, polarizzazione o fiducia in una narrazione specifica.

3. **Contesto moderno**: Con l'avvento delle tecnologie digitali, le armi cognitive si avvalgono di algoritmi, intelligenza artificiale, big data e piattaforme online per targettizzare individui o comunità con precisione.

4. **Esempi pratici**:

   - **Guerra psicologica**: Campagne per demoralizzare un nemico o influenzare l'opinione pubblica.

   - **Operazioni di influenza**: Ad esempio, l'uso di bot o troll sui social media per amplificare narrazioni divisive.

   - **Neurotecnologie**: In contesti più avanzati, si ipotizza l'uso di tecnologie che interagiscono direttamente con il cervello, come interfacce neurali, anche se questo è ancora in gran parte teorico.


### Contesto e utilizzo:

Le armi cognitive sono spesso discusse in ambiti come la sicurezza nazionale, la geopolitica e la cybersecurity, dove stati, organizzazioni o attori non statali possono usarle per ottenere un vantaggio strategico senza ricorrere alla forza fisica. Ad esempio, influenzare elezioni, destabilizzare società o manipolare mercati.


### Rischi:

- **Erosione della fiducia**: Possono minare la fiducia nelle istituzioni o nei media.

- **Polarizzazione sociale**: Creano divisioni profonde all'interno delle comunità.

- **Perdita di autonomia**: Gli individui possono essere spinti a decisioni non consapevoli.