Non sono solo un’altra generazione: sono veri sopravvissuti.
Duri come pane raffermo, rapidi come la ciabatta di una nonna arrabbiata —
quella che volava con precisione chirurgica.
A cinque anni capivano l’umore della madre dal rumore del coperchio sulla pentola.
A sette, avevano già le chiavi di casa e le istruzioni:
«C’è da mangiare in frigo. Scaldalo, ma non rovesciare niente.»
A nove preparavano la pastina per i fratelli.
A dieci sapevano chiudere il rubinetto dell’acqua e scappare dal cane del vicino con un secchio in testa.
Stavano fuori tutto il giorno, senza cellulare,
con un programma preciso: sbarra, campo, bicicletta, rientro a casa quando faceva buio.
Le ginocchia, coperte di croste e cicatrici, erano una mappa vivente delle loro avventure.
E sono sopravvissuti.
Le sbucciature si curavano con la saliva o con una foglia di piantaggine.
E quando si lamentavano, la risposta era:
«Se non c’è sangue, non è niente.»
Mangiavano pane e zucchero, oppure pane e olio.
Bevevano dal tubo dell’acqua del giardino —
un sistema immunitario che oggi farebbe scuola —
e se avevano allergie, nessuno ci badava.
Sanno come togliere le macchie di erba, di sugo, di biro o di ruggine,
perché “non si usciva di casa vestiti male”, neanche per andare a giocare.
E poi… hanno visto e vissuto cose che oggi sembrano preistoria:
– la radio col manopolone,
– la TV in bianco e nero,
– il giradischi con i vinili,
– il mangianastri, le cassette,
– il walkman e i CD…
e oggi ascoltano migliaia di canzoni dallo smartphone,
ma rimpiangono il suono della cassetta che frusciava e si riavvolgeva con una penna.
Con la patente appena presa attraversavano l’Italia con la 127,
senza aria condizionata, senza hotel, senza navigatore.
Solo una cartina stradale dell’ACI e un panino avvolto nella stagnola.
Eppure arrivavano sempre a destinazione.
Senza Google Translate. Con un sorriso e due parole in dialetto.
Sono l’ultima generazione cresciuta senza internet,
senza powerbank,
senza ansia da “batteria al 2%”.
Si ricordano il telefono a disco nel corridoio,
i quaderni di ricette scritte a mano,
e i compleanni segnati sul calendario della cucina.
Loro:
– aggiustano tutto con lo scotch, una graffetta o una molletta,
– avevano un solo canale TV (poi due), e non si annoiavano,
– “sfogliavano” l’elenco telefonico, non le notifiche,
– e una chiamata persa voleva dire solo: “Ti ho pensato.”
Sono diversi.
Hanno una specie di “amianto emotivo”,
un sistema immunitario forgiato tra freddo, strada e poco zucchero,
e riflessi da ninja metropolitano.
Non stuzzicare un cinquantenne o un sessantenne.
Ha visto più cose di te, ha vissuto più in profondità.
E in tasca ha ancora una caramella alla menta
rimasta lì “per ogni evenienza”.
È sopravvissuto a un’infanzia senza seggiolino, senza casco, senza crema solare.
Alla scuola senza LIM, senza computer, con il sussidiario in cartella.
Alla giovinezza senza social, senza filtri, senza selfie.
Non cerca risposte su Google: si fida del suo istinto.
E ha più ricordi di quanti tu abbia foto nel cloud.
©️ Antonio Donato 𝐂𝐨𝐩𝐲𝐫𝐢𝐠𝐡𝐭
Legge sulla proprietà intellettuale. n. 633 del 22.04.1941
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